Scienza e tecnologia
Le “produzioni agricole di tipo biologico” sono di grande attualità, da alcuni anni oggetto di dibattito anche su testate nazionali. Non altrettanto si può invece dire per il momento delle innovazioni possibili per garantire la “sostenibilità in agricoltura” nelle sue forme più o meno intensive in cui viene declinata in vaste aree del pianeta e nel nostro paese. La comunità scientifica nazionale che si occupa di agricoltura, attraverso l’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie (AISSA), ritiene che per favorire la conoscenza di un’agricoltura di qualità, per la tutela del territorio, il rispetto dell’ambiente e per un consumo consapevole sia necessario fare chiarezza su questi temi, per contribuire ad una corretta divulgazione scientifica e per far progredire le conoscenze, affinché l'intera società civile ne tragga giovamento, recuperando un po’ di quella consapevolezza del valore della terra e del settore primario andata perduta negli ultimi decenni. Biologico e dintori: la posizione di AISSA – Associazione delle Società Scientifiche Agrarie
Il nostro dovere civico di agire per una corretta divulgazione scientifica e per il trasferimento tecnologico impone anche una precisazione relativa alla distinzione tra tecniche agronomiche basate su risultati sperimentali o su deduzioni di principi scientifici, che fanno parte del patrimonio dei produttori biologici e le pratiche esoteriche che caratterizzano il metodo produttivo “biodinamico”. Queste ultime, sebbene suggestive, non hanno trovato ad oggi fondamento scientifico. La recente approvazione del nuovo regolamento Reg. (UE) No 2018/848 in materia di agricoltura biologica che entrerà in vigore decorrere dal 1° gennaio 2021, rende peraltro urgente una discussione seria e scientificamente fondata in vista del dibattito, ormai entrato nel vivo a livello nazionale, della riforma post 2020 della Politica Agricola Comune, che deve affrontare sfide importanti (dalla sicurezza e sovranità alimentare ai servizi ecosistemici) e correggere le distorsioni più problematiche. La crescita delle produzioni biologiche ha effetti positivi, per il loro valore nel bilancio nazionale e il loro consumo, in genere di qualità, critico e consapevole, a fronte di una certa stagnazione o calo nei consumi delle altre derrate agricole. Il biologico è una realtà, non solo in Italia. Per accompagnarne la crescita in modo positivo sarebbe tuttavia necessario introdurre anche qui forme di innovazione, utili peraltro anche in altre tipologie di produzioni agricole.
Occorre infatti ridurre i fattori che limitano le rese produttive ed il reddito delle aziende agricole ed occorre farlo secondo pratiche sostenibili. Le limitazioni nei mezzi di produzione (fitofarmaci, fertilizzanti, etc.) impiegabili nel “biologico” rendono più rischioso il successo economico della produzione stessa, se comparata ad altri sistemi. Si possono infatti riconoscere alcune criticità da superare: per molte colture ed in diversi ambienti, produrre “biologico” significa ottenere rese (produzioni per unità di superficie) più basse rispetto alle potenzialità della coltura, con costi per unità di prodotto spesso più elevati. In questo scenario, si intravedono due effetti: se il prodotto biologico non venisse venduto a prezzi più elevati, ciò potrebbe incidere negativamente sul reddito dell’azienda; a livello di Paese, inoltre, per produrre la stessa quantità di alimenti sarebbe necessario più suolo (il vero fattore limitante del futuro assieme all'acqua e ai cambiamenti climatici su tutto il pianeta). Se la produzione nazionale agraria diminuisse, a parità di abitudini alimentari, si dovrebbe importare ancora di più. A parte le conseguenze sulla bilancia commerciale italiana, non è sempre possibile conoscere e incidere sul livello di sostenibilità dei sistemi di produzione agricola nei paesi di approvvigionamento; le tecniche di produzione biologica sono da valutare come positive per gli effetti sull’ambiente (soprattutto per l’attenzione alla biodiversità ed alla fertilità del suolo) ma “biologico” non è automaticamente sinonimo di sostenibilità, soprattutto in riferimento all’unità di prodotto. Questo problema si avverte soprattutto per quelle colture e ambienti in cui l’azienda decida di scegliere il sistema “biologico” nonostante una forte pressione di parassiti e patogeni: ad esempio, esistono serie preoccupazioni sull’accumulo di rame nei suoli dei vigneti biologici, risultato di un elevato numero di trattamenti per il controllo di patologie gravi (la stessa UE intende ridurre di un terzo la quantità di rame applicabile, cosa che potrebbe mettere in difficoltà molte aziende); I vincoli nell’impiego di mezzi per la difesa dai patogeni e parassiti ammessi nel “biologico”, se da un lato hanno un generale effetto positivo sulla diminuzione dei rischi legati ai residui di fitofarmaci sui prodotti raccolti, dall’altro, per alcune colture (es. il mais), possono rendere il prodotto stesso inutilizzabile per l’alimentazione umana, in quanto contaminabile da micotossine (di elevata pericolosità per la salute umana, prodotte da funghi); non sempre, infine, la qualità intrinseca delle produzioni biologiche per la trasformazione industriale (es. cereali per la pastificazione) è adeguata agli standard del made in Italy.
Quindi, anche il settore biologico dovrebbe aprirsi maggiormente alle innovazioni e, nel contempo, servono più ricerca e sperimentazione,mirate e interdisciplinari. Servono divulgazione, trasferimento tecnologico e formazione continua degli operatori. Anche l’agricoltura biologica dovrà, tra l’altro, utilizzare al meglio le potenzialità che il miglioramento genetico sta offrendo, senza rifiuti preconcetti, e impiegare genotipi di varietà vegetali e razze animali più produttivi, rustici, resistenti e resilienti. I principi di sostenibilità ecologica, sociale ed economica dovranno guidare l’agricoltura del futuro nelle sue diverse forme (biologica, integrata, di precisione, conservativa, estensiva ed intensiva, a conduzione familiare o industriale, agroecologica, ecc.), pena l'aumento di inquinamento ed erosione, dei disservizi ambientali, delle disuguaglianze e dei problemi per la salute umana e della biosfera.
L’agricoltura sarà valutata per il suo grado di sostenibilità nel lungo periodo e in relazione non solo agli aspetti ecologici (effetti sulla fertilità del suolo, sulla biodiversità, sulle perdite di nutrienti e di fitofarmaci nelle acque e nell’aria, sull’emissione di gas serra, sul consumo di energia fossile e di acqua irrigua, nonché sul benessere animale e sulla quantità di residui), ma anche a quelli economici e sociali. A questo riguardo, non si può non ribadire la preoccupazione legata al mantenimento di un adeguato reddito per le aziende - agricole, forestali e zootecniche, minacciate dalla stagnazione dei prezzi di vendita dei prodotti, a fronte di aumento dei costi che devono sostenere - in assenza del quale si assisterà in modo sempre più marcato all’abbandono dell’attività agricola e degli spazi rurali. In un’epoca di neo-urbanesimo travolgente, gli agricoltori sono sempre meno e con basso potere contrattuale, ma non va dimenticato che sono prevalentemente loro a presidiare l’ambiente e tutelare il territorio, disegnandone il paesaggio. Diverse forme di agricoltura sostenibile possono e devono convivere in Italia.
L’agricoltura italiana, nella sua grande biodiversità di specie coltivate, di ambienti difficili o produttivi, in presenza di tante filiere più o meno lunghe, di tanti “saperi” locali, così come di prodotti agroalimentari di eccellenza, sta affrontando sfide importanti legate alla redditività delle aziende, al mantenimento della qualità dei prodotti e alla sostenibilità ecologica delle produzioni, il tutto in un contesto di cambiamento ed imprevedibilità del clima. Nello scenario nazionale non esiste una ricetta universalmente valida. Ogni scelta dovrebbe essere basata su valutazioni legate a costi e benefici, essere valutata nel medio-lungo periodo e considerare gli effetti non solo a livello di azienda, ma anche quelli a livello di comprensorio e sul paesaggio. Gli operatori del mondo agricolo, così come gli scienziati, devono dialogare in modo dialettico sul tema della sostenibilità ed assumere impegni di ragionevolezza, senza speculazioni né reciproci oscurantismi. La ricerca scientifica deve proporre e convalidare le innovazioni per la sostenibilità e promuovere nel contempo la responsabilità di operatori, consumatori e decisori, innanzitutto per difendere la poca terra che ci resta e poi per recuperare il capitale relazionale e quello narrativo che hanno caratterizzato la storia del nostro mondo rurale e costruito il paesaggio agrario del bel paese che spesso facciamo ormai fatica a riconoscere.
Il Consiglio di Presidenza di AISSA - Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie,
www.aissa.it
Presidente - prof. Marco Marchetti, Università del Molise
Vice Presidente - prof. Francesco Marangon, Università di Udine
Segretario - prof. Bruno Ronchi, Università di Verona
Consigliere - prof. Massimo Tagliavini, Università di Bolzano
Consigliere - prof. Mario Pezzotti, Università di Verona
Past President - prof. Vincenzo Gerbi, Università di Torino
Questa nota è stata preparata dal Consiglio di Presidenza dopo un incontro appositamente convocato che ha riunito tutte le società scientifiche di AISSA, unica associazione scientifica dell’area Agraria accreditata presso il MIUR.