Sgarbi e la critica all'”artista delle donne” Matteo Fieno

Torino - È ancora una volta Vittorio Sgarbi, uno dei più noti critici d'arte italiana, uno dei più attenti osservatori di ciò che la contemporaneità artistica produce, a sigillare con una personale nota critica, la pittura di Matteo Fieno, artista delle donne.  

Sgarbi celebra a suo modo l'artista piemontese, regalando pensieri e suggestioni che diventano un tributo ancora prima che all'arte, alle donne stesse. 

Non è la prima volta che il Prof. Sgarbi incontra Fieno: dalla selezione alla Pro Biennale, al premio Caravaggio fino alla Biennale Milano, il percorso artistico dell’artista delle donne ha già avuto modo di incrociare lo sguardo attento del critico ferrarese.

E non a caso le parole di Sgarbi sono quelle di un profondo conoscitore dell'arte di Fieno e dell'artista stesso. 

Nella pittura di Fieno “c'è che quel forte bisogno di indispensabilità, di  non gratuito" che Sgarbi riconosce essere una cifra esistenziale del pittore al di là di ciò che trova espressione, o meglio “impressione" nelle sue tele. 

E già, impressione. Perché – è lo stesso Sgarbi a sottolinearlo- in Fieno ricorre “l' "impressione" nel raffigurare la donna in una certa maniera, in relazione alla circostanza ambientale entro cui  agisce. Donne che però ci tiene a precisare Sgarbi, non vivono di sola dimensione fisica, tanto che la carnalità non è mai straboccante anche quando le fattezze sono morbide e tondeggianti.  

E non è mai cliché. Anzi. Piuttosto che un tributo all'ideale dell“eterno femminino" secondo Sgarbi, Fieno privilegia un'immagine più vicina e reale ritraendo donne che sono con ogni evidenza donne  spiccatamente moderne, figlie dell'era industriale. E anche in questo, si riconosce l'amore per la bellezza e il mistero unico delle donne che ha fin qui caratterizzato i quadri del pittore delle donne.  

E c'è un tema che il critico d'arte vuole affermare assieme agli altri. Quella di Fieno è arte pura, capace di essere un linguaggio mai univoco nella lettura che se ne può dare al punto che, a proposito delle didascalie con le quali il pittore è solito accompagnare le sue opere, appare sorprendente rendersi conto di quanto quegli spunti e quegli intenti possano essere ininfluenti ai fini della nostra percezione delle opere. 

E di questo scambio reciproco di sensazioni e immagini, Sgarbi ne è fortemente convinto, tanto che, pur riconoscendo a Fieno la capacità di rappresentare la donna come poche artiste saprebbero fare, riconosce anche che quelle donne diventano “le nostre donne”, di chi le guarda. Sarà perché le pose delle donne di Fieno sono pose ordinarie capaci di donare agli occhi molto più di quanto si creda, perché “meno materia pittorica differenziata si offre alla vista più si è liberi”. Liberi di intrecciare le proprie esistenze, le proprie esperienze con quelle delle donne che si hanno davanti. Liberi di immaginare e di concentrarsi in modo esclusivo sulle donne. 

E in tutto questo, nella sua pittura, nel suo modo unico di dare vita alla donna sulle proprie tele, Fieno esprime non solo un gesto artistico – apparentemente tanto semplice quanto in realtà potente – ma anche un gesto di generosità estrema: avere avuto l'esperienza di essere espropriati delle proprie invenzioni mediante la soggettività altrui che, in poche parole, spiega Sgarbi, significa “essere riusciti ad aprirsi alle menti e agli occhi degli altri invece di tenerle relegate entro i confini ristretti del proprio io”.  

Ed è in questa trasposizione di ruoli che l’esperienza artistica accomuna il pittore e i suoi interpreti, per raggiungere un momento in cui quelle donne sembrano essere nate addirittura dalla mano di chi guarda, spogliando il pittore del suo ruolo di semplice autore, per farlo diventare una parte della sua stessa arte.

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